Sul terreno della logistica e nei magazzini ove si movimentano le merci per la grande distribuzione e la spedizione si sono sviluppati, nel corso di questi ultimi anni, conflitti operai di notevole importanza e dimensione caratterizzati da una forte radicalità (non solo nelle forme e nei metodi di lotta).
Protagonisti sono i lavoratori (facchini, carrellisti, fatturisti, addetti al picking o comunque li si voglia definire) soci delle numerose cooperative alle quali vengono appaltate la movimentazione e lo stoccaggio delle merci.
Non è un caso poi che questi lavoratori siano in prevalenza (se non totalmente) stranieri: è evidente infatti che la vitale necessità di avere un contratto di lavoro per garantirsi la possibilità di una permanenza regolare in Italia, li costringa ad accettare anche condizioni di lavoro e salariali pessime.
E li descriva, agli occhi del padronato, stante la condizione di ricatto cui sono sottoposti dalla legislazione in materia di immigrazione, come ideale e docile manodopera da spremere in un contesto di estrema precarietà determinato anche dall’impiego con associazione e assunzione (con contratti di lavoro subordinato o parasubordinati) pressoché esclusivamente per società cooperative.

L’utilizzo della forma cooperativistica rappresenta infatti la forma giuridica e imprenditoriale perfetta per il settore del trasporto e della logistica.
Questo per una serie di fattori che le rendono più “competitive” in un sistema che predilige, dal lato della committenza, l’appalto al ribasso per comprimere i costi fissi (e per liberare capitali da dedicare esclusivamente all’attività principale) e il disimpegno dalla gestione (non solo strettamente economica) di un ampio settore di forza lavoro, delle relazioni e dei conflitti sindacali con questa.
In prima battuta, la previsione legale di una serie di agevolazioni fiscali (e di costi di gestione particolarmente esigui) di cui altre forme societarie non godono.

Sono poi l’ideale per costruire quel sistema di “scatole cinesi” che, nella catena di appalti e sub-appalti, permette di rendere più liquida e labile la responsabilità nei confronti dei propri dipendenti (o meglio soci-lavoratori): sono infatti all’ordine del giorno liquidazioni, fallimenti o vere e proprie “sparizioni” di cooperative, immediatamente sostituite da altre (i cui organi dirigenziali sono spesso sempre gli stessi), che lasciano una pesante eredità di retribuzioni non pagate e contributi non versati.
La legge concede poi un’ulteriore serie di vantaggi: dalla previsione della possibilità di prevedere Regolamenti Interni le cui norme possono derogare anche alle garanzie minime previste dalla contrattazione collettiva di settore; alla possibile gradualità nel pagamento di alcuni istituti contrattuali (sono stati firmati infatti nel corso degli anni da CGIL, CISL e UIL una serie di accordi in deroga al ccnl di riferimento che permettono alle cooperative del settore logistico di versare in misura ridotta 13ma e 14ma mensilità, ferie e tfr); all’esclusione legale, da un lato, delle garanzie previste dallo statuto dei lavoratori per i procedimenti disciplinari e, dall’altro, dell’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 18 (ovviamente prima dello scompaginamento operato da Fornero e Monti) e alla confusione, anche giurisprudenziale, circa le norme di tutela e il rito applicabili a seguito dell’esclusione dalla compagine sociale in virtù del doppio rapporto che si instaura tra lavoratore e cooperativa (di lavoro subordinato e di associazione alla cooperativa).
E’ evidente quindi che, già solo dal punto di vista della normativa applicabile, le condizioni materiali in cui sono costretti ad operare i lavoratori impiegati sono di estrema flessibilità formale e sostanziale.
Condizioni rese però ancor più precarie dall’endemica violazione delle norme in tema di sicurezza sul lavoro o di corretto adempimento degli obblighi retributivi e contributivi.
Ciò, ancora una volta, non è un caso: è infatti diretta e naturale conseguenza della necessità, per un verso, di contrarre i costi in un settore di mercato estremamente concorrenziale e, per un altro, della ricerca di massimizzazione dei profitti in un contesto in cui i margini di guadagno sono sempre più risicati per il sistema di appalti al ribasso.
E ovviamente le prime voci di spesa da comprimere il più possibile diventano i costi del lavoro (retribuzioni e omissioni contributive) e quelle per la sicurezza nei magazzini.
Si tratta comunque di un settore di mercato che produce buoni guadagni anche in periodo di crisi come quello attuale e che, anche per questo, oltre per la facilità di riciclarvi denaro da “lavare”, è soggetto a forti infiltrazioni mafiose (sempre che determinate cosche non figurino direttamente nei consigli di amministrazione di cooperative).
In definitiva, ciò che questo panorama svela è infatti il completo sviamento dell’odierna forma cooperativa da quello che era la finalità di sostegno alla classe operaia posta all’origine della loro fondazione. La passata possibilità cioè di ottenere migliori condizioni salariali e di lavoro unendosi e svincolandosi dalla gerarchia padronale di fabbrica, è oggi completamente sostituita, anche nei fini, dalla mera ricerca del profitto al pari – e senza alcuna distinzione sostanziale – di una “qualsiasi” società di capitali.

Fonte:  clashcityworkers.org
 
 
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