Sempre più spesso i rifiuti, per essere smaltiti, vengono affidati a impianti di stoccaggio intermedi (i c.d. depositi preliminari D15 o le operazioni autorizzate D14 o D13). In questo caso, oltre la IV copia del formulario, il produttore deve accertarsi anche di ricevere il c.d. certificato di avvenuto smaltimento, rilasciato dal titolare dell’impianto che effettua le operazioni di smaltimento da D1 a D12.
La modalità di gestione del certificato deve però essere definita da un Decreto Ministeriale che al momento ancora non esiste. Cosa può fare il produttore per cautelarsi e mettersi al riparo da eventuali gestioni illecite?
 
Quando la IV copia del formulario non basta
Prima che fosse introdotto il certificato di avvenuto smaltimento, era sufficiente che il produttore, per verificare la regolare destinazione dei rifiuti, dopo averli conferiti ad un soggetto terzo autorizzato al trasporto, verificasse la restituzione del formulario di identificazione (la IV copia) entro novanta giorni dal conferimento. Se i rifiuti venivano conferiti ad uno stoccaggio intermedio, il produttore non doveva avere la preoccupazione di controllare anche tutti i successivi trasferimenti agli impianti di smaltimento finali.
Il legislatore, in seguito, al fine di evitare possibili comportamenti illeciti (pensiamo alle operazioni da scatole cinesi nel mercato dei rifiuti) ha pensato di introdurre (come ha di fatto introdotto) l’obbligo del produttore iniziale di accertarsi non solo del conferimento all’impianto intermedio ma anche dello smaltimento definitivo all’impianto finale. Pertanto allo stato attuale, quando il rifiuto è avviato a smaltimento (esattamente le forme di stoccaggio con codice D13, D14 e D15), oltre alla quarta copia del formulario, il produttore deve ricevere anche il certificato di avvenuto smaltimento rilasciato dal titolare dell’impianto che effettua le operazioni da D1 a D12.
 
Una sintesi degli stoccaggi D13, D14, D15
Per inciso, ricordiamo che il deposito preliminare D15 è lo stoccaggio di rifiuti per il successivo invio alle altre fasi di smaltimento; il ricondizionamento preliminare D14 è l’insieme delle operazioni meccaniche e/o fisiche (ad es. la triturazione) che ottimizzano il conferimento dei rifiuti allo smaltimento; infine il raggruppamento preliminare D13 consiste nella preparazione di carichi omogenei – anche mediante miscelazione – per il conferimento ad altri impianti.
 
Il problema è un decreto che non esiste
Il problema è che le modalità di gestione e la stessa forma del Certificato, devono essere definite con un Decreto Ministeriale che al momento non esiste; e così a distanza di tre anni (o poco più), la disponibilità delle imprese finali di smaltimento a rilasciare il Certificato di Avvenuto Smaltimento dei rifiuti è piuttosto esigua. Il documento viene negato e molti (troppi) dichiarano che, tra i tanti produttori che conferiscono i rifiuti provenienti da un deposito D15, è impossibile risalire all’esatta individuazione dei rifiuti riferenti ad uno specifico produttore.
 
Tra l’incudine dei centri di stoccaggio e il martello legislativo
La normativa:
– da un lato, attribuisce ai produttori dei rifiuti l’onere del corretto avvio allo smaltimento e, in caso di affidamento del rifiuto ad un impianto autorizzato al D13, D14 o D15, chiede loro, e non ai detentori, di accertarsi, che la filiera sia correttamente gestita, attribuendogli responsabilità che cessano soltanto con l’attestazione dell’avvenuto smaltimento del rifiuto;
– dall’altro, non detta le modalità con le quali i centri di stoccaggio (o direttamente gli impianti finali) debbano rilasciare la suddetta attestazione, non consentendo, in pratica, ai produttori di tutelarsi giuridicamente ed economicamente, nel caso il rifiuto non sia gestito correttamente.
 
Come aggirare l’ostacolo

Premesso che, a nostro avviso, la mancanza di un Decreto Ministeriale, non pare possa giustificare la negazione del certificato da parte degli impianti intermedi, e che il produttore ha, invece, tutto il diritto di sapere con certezza se il rifiuto è stato smaltito oppure no, un modo per aggirare l’ostacolo, in attesa del decreto attuativo, può essere quello di definire in fase contrattuale le modalità di consegna del certificato di avvenuto smaltimento da parte del titolare dell’impianto di smaltimento finale, o del gestore dell’impianto di stoccaggio intermedio; il suo contenuto e quant’altro ritenuto utile alla tracciabilità del rifiuto conferito. Si può obbligare, quindi, la ditta incaricata, al momento di affidamento dell’incarico e pena l’annullamento dello stesso, ad attestare, mediante apposita certificazione, l’avvenuto smaltimento presso l’impianto prescelto, con l’indicazione della quantità di rifiuto ritirato e smaltito. Questa è, ad esempio, una delle condizioni imposte nei disciplinari di gara per l’affidamento del servizio di trasporto e smaltimento dei rifiuti speciali, con una dicitura del tipo: “il pagamento del servizio reso potrà avvenire previa presentazione delle fatture corredate dalle dichiarazioni attestanti l’avvenuto smaltimento”.

Fonte: kemis.it

 

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