Di seguito una interessante riflessione tratta da qualenergia.it:
Mettiamo un Comune che taglia le siepi del parco.
In un paese diverso potrebbe vendere le potature a un impianto a biomassa,
guadagnandoci. In Italia è costretto a pagare per smaltirle in discarica
o all’inceneritore
. Un paradosso che costa ai nostri enti locali
diverse centinaia di milioni di euro all’anno. La colpa è di
norme e definizioni in contrasto tra loro: il Ministero dello Sviluppo Economico
definisce queste biomasse “sottoprodotti” e quindi utilizzabili ai fini
energetici, con tanto di specifico incentivo maggiorato. Il Ministero
dell’Ambiente, e precisamente della Direzione Generale dei Rifiuti, invece, ha
stabilito che queste biomasse sono da considerare
“rifiuti”
.

Insomma, le potature del verde urbano vanno in
discarica o all’inceneritore, utilizzarle diversamente vuol dire
smaltire rifiuti in maniera illegale
: con tutte le conseguenze del
caso. Solo una modifica successiva al decreto legge Terra dei fuochi
(il comma 6, articolo 5 del D.L. 256 del 2013, convertito con la legge 6 del
2014) fa sì che chi brucia “rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali
giardini, parchi e aree cimiteriali”, pur essendo questi considerati “rifiuti
urbani” vada incontro a sanzioni amministrative anziché commettere un reato
penale.

“Ogni giorno – ci spiega Walter
Righini
, presidente di Fiper – amministratori di piccoli e medi comuni
ci contattano perché vorrebbero poter vendere questi sottoprodotti e quindi
trasformare un costo in una voce di ricavo nel bilancio comunale, soggetto al
rispetto del patto di stabilità. Per fornire un ordine di grandezza economico,
solo sulla partita del verde pubblico il quantitativo disponibile si attesta
intorno ai 3-4 milioni di tonnellate/anno con un costo
di smaltimento
di circa 180-240 milioni di euro a fronte di un
possibile ricavo, in caso di utilizzo energetico, di 80-120 milioni. Il
beneficio economico complessivo per l’Amministrazione pubblica italiana potrebbe
aggirarsi tra 240-360 milioni di euro all’anno, senza contare
la biomassa proveniente dalla gestione del territorio, ovvero pulizia degli
alvei e argini fluviali, mareggiate e altri eventi atmosferici.”

Con il decreto 6 luglio 2012, sugli incentivi
alla rinnovabili elettriche, infatti, si è riconosciuto un bonus sulla
tariffa incentivante
per la produzione di energia, se l’operatore
utilizza, quali biomasse, i cosiddetti “sottoprodotti”: dagli
avanzi di ristorazione e dell’industria agroalimentare, alle potature del verde
urbano sino agli scarti di lavorazione del legno. Peccato che, come detto,
questi materiali siano contemporaneamente anche “rifiuti” con le complicazioni
del caso. Per chiarire la situazione si attende un decreto apposito, il
cosiddetto “decreto sottoprodotti”
.

Si era iniziato a lavorarci con il governo Letta,
ma poi tutto si è incagliato. Al ministero dell’Ambiente si era
istituito un tavolo di confronto tecnico con gli operatori per definire i
requisiti in ottemperanza dell’art. 184 bis del Testo Unico Ambientale,
attraverso cui un materiale può essere considerato sottoprodotto nel rispetto
dell’ambiente e della salute. Poi, cambiato governo, il silenzio.

Intanto lo spreco continua: si
paga per smaltire materiali che potrebbero essere valorizzati direttamente, e le
potature del verde urbano non sono l’unico caso. “Ad esempio se la frazione
organica dei rifiuti potesse essere valorizzata direttamente, ristoratori e
albergatori potrebbero risparmiare il 30-40% sulla Tares. In Svizzera si fa
così, trasformando gli avanzi di ristorazione di alberghi e ristoranti
in biogas naturale
”, spiega Righini.

“Sulla questione degli scarti alimentari –
ribatte Marino Berton, segretario uscente si AIEL,
l’associazione italiana energia dal legno – la questione è più complicata,
bisognerebbe istituire un sistema di certificazione terzo, per garantire che
l’albergatore, o chi per lui, faccia correttamente la differenziata. Ma per il
verde urbano basterebbe veramente inserire una
frase
nella norma: ‘la frazione legnosa (dei residui di gestione del
verde urbano, ndr) è sottoprodotto utilizzabile a fini energetici’.”

Altro tassello su cui Berton insiste è quello del
riconoscimento dello status di sottoprodotto, e dunque dell’incentivazione
maggiorata, anche per il cippato da gestione forestale: “E’
chiaro che si tratti di un sottoprodotto, perché è lo scarto di un processo per
ottenere legname da costruzione o legna da ardere, che hanno comunque un valore
commerciale superiore. Premiare il cippato da gestione forestale renderebbe
economicamente più sostenibile la gestione dei boschi, con
evidenti ricadute per la sicurezza del territorio”.

“Anche la pulizia degli alvei, dei margini
fluviali e degli altri corsi d’acqua presenti sul territorio potrebbe essere
garantita attraverso il recupero della biomassa legnosa da impiegare a fini
energetici – aggiunge Righini – e sarebbe una buona idea dato che investire
in misure per ridurre le inondazioni rappresenta una soluzione
estremamente efficace, con un costo dalle 6 alle 8
volte più basso rispetto a quello per rimediare ai danni
causati dalle
alluvioni. Lo dice uno studio pubblicato nei giorni scorsi dalla Commissione
Europea. Da tempo abbiamo segnalato l’importanza della filiera legno-energia per
garantire a costo zero la gestione del territorio. Negli ultimi 5 anni, infatti,
le centrali di teleriscaldamento a biomassa legnosa, hanno iniziato ad
approvvigionarsi di biomassa locale proveniente dalla manutenzione boschiva,
garantendo un valore economico alla gestione dei boschi incendiati, affetti da
parassiti o abbandonati.”

Risolvere il paradosso dei sottoprodotti
considerati rifiuti o non valorizzati, oltre a dare una boccata di ossigeno ai
bilanci delle amministrazioni comunali, sarebbe un ottimo investimento anche per
difendere il nostro fragile territorio. D’altra parte la “valorizzazione
delle biomasse legnose” è
anche una delle proposte
del Commissario straordinario per la revisione delle
spese per ridurre la spesa pubblica.
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